Sono passati sessant'anni, ma loro sono ancora lì. Nomadi, ma con le radici. Quelle radici saldamente piantate tra Novellara, le terre tra Reggio Emilia e Modena e qualche palco sempre da raggiungere. Novanta concerti l'anno in tutta la Penisola; una media annuale di un milione di spettatori, bambini, genitori e nonni, il "popolo nomade". Sessant'anni filati come in un unico respiro, fatti di successi, lutti, rinascite, musica soprattutto, tanta musica. Questo libro, scritto da Beppe Carletti insieme a Gianluca Morozzi, si legge come un romanzo: perché la storia dei Nomadi è un romanzo, più vero di qualsiasi fiction. Se la vita è un film, questo è il film di una band nata nella Bassa emiliana soltanto un anno dopo i Rolling Stones e che, come i Rolling Stones, ancora calca i palcoscenici, ancora fa emozionare, cantare, piangere, sognare. È lontano e allo stesso tempo vicino, quel 1963 in cui decisero di mettersi insieme e scelsero, quasi a caso, quel nome: Nomadi. Due anni dopo usciva il loro primo 45 giri, "Donna la prima donna". L'anno dopo iniziava la collaborazione con un altro emiliano all'epoca sconosciuto, di nome Francesco Guccini. "Noi non ci saremo"; "Dio è morto": non solo canzoni, ma dei veri e propri stendardi per milioni di giovani. Poi arrivano gli anni Settanta: "Io Vagabondo", ancora oggi la canzone simbolo della band e un inno per diverse generazioni. La scalata non si ferma più: partecipazioni televisive, presenza alle manifestazioni canore, i lavori discografici numerosissimi sino a oggi. Una storia sempre aperta al futuro, con il cuore «gonfio di curiosità, affacciati su quel che sarà».