I Romani fecero propri i Mysteria - detti così alla greca, in senso religioso istituzionale - dopo avere a lungo frequentato l'ignoto, gestito severamente dall'autorità civile. Lo fecero quando il tedio di un mondo ridotto a sterile prassi legale: un mondo di armi e di armati, di moniti e di pene severe aveva spinto l'individuo, vagante tra sotterranee superstizioni, in braccio al Grande Mistero inteso come interrogativo non più eludibile e ad una religione priva di evidenti schemi di compensazione, ma più intimamente necessaria. In tale prospettiva vantano un diritto di presenza nel libro tutti i movimenti e tutti i sistemi in cui e per cui i Romani vennero in qualche modo a fare l'esperienza diretta dell'inconoscibile: i segni e i prodigi, le ierofanie e le teofanie, i misteri come sondaggio e decifrazione dell'ignoto. Ossia, i fenomeni di divinazione, augurazione, oracolistica, aruspicina, astrologia; e i misteri come provocazione, sfida o difesa - sul piano dell'azione e dei poteri - contro la Potenza. Vale a dire la magia, l'alchimia, la stregoneria, il satanismo, con i relativi corteggi.