Dopo anni di ardente materialismo, di successi letterari legati all'invenzione del detective per antonomasia, che risolveva complicati casi basandosi sull'osservazione fredda e oggettiva della realtà, Arthur Conan Doyle, verso la fine dell'Ottocento, venne folgorato dallo spiritismo e si fece strada in lui la certezza della sopravvivenza dopo la morte, una convinzione che sostenne fino alla fine dei suoi giorni tenendo conferenze in tutto il mondo. Ovviamente, la scomparsa dell'inventore di Sherlock Holmes, avvenuta nel 1930, fu soltanto l'epilogo della sua esistenza terrena perché, appena un anno dopo, dettò medianicamente a Grace Cooke questo libro con il preciso scopo di correggere alcune teorie e credenze spiritiche che aveva attivamente propagato in vita e che nell'aldilà aveva potuto riesaminare, alla luce della sua esperienza personale. Ciò che egli espone in questo testo va molto oltre i limiti dello spiritismo e di quanto all'epoca si conosceva sull'argomento: tratta della vita dopo la morte in una maniera più che mai incisiva, rendendo chiaro quanto la vita qui e la vita dell'aldilà siano inestricabilmente intrecciate, essendo l'una complemento dell'altra. I suoi messaggi riguardano l'eterno progresso umano oltre la morte, danno una risposta all'interrogativo del libero arbitrio di fronte al destino e offrono una soluzione al problema del male, spiegando da dove veniamo, perché siamo sulla terra, dove andiamo dopo la morte.