Il linguaggio come pharmakon, veleno e medicina al contempo; le parole come veicolo di odio o somministratrici di cura. La discussione pubblica contemporanea, che trova nelle piattaforme social uno spazio privilegiato quanto illimitato, sembra elevare al massimo grado questa intrinseca dicotomia. Il linguaggio può ferire, alimentare contrasti, ricalcare stereotipi, estremizzare posizioni; ma anche costituire una risorsa di consapevolezza e riflessione, e dunque risanare, generare alleanze, tessere relazioni costruttive. Quest'ultima funzione appare però sempre più ostacolata dalla distorsione del concetto di "libertà d'espressione" e da una tendenza generale a fare delle parole strumenti di discriminazione e di esclusione, spesso in maniera subdola e trasversale. In questo breve e agile saggio, ricco di riferimenti multidisciplinari, il linguista e sociologo Federico Faloppa si misura con uno dei temi più "caldi" del nostro presente, approfondendo schemi di comunicazione, dinamiche sociali e meccanismi psicologici che hanno elevato, in certi casi istituzionalizzato, l'hate speech a mezzo pervasivo e al tempo stesso sfuggente e polimorfico.