Perché Dante piace più di Ariosto, pur essendo a lui anteriore? Cosa, a distanza di secoli e secoli, spinge a ripetere le terzine della Commedia più che i versi di un poeta moderno? E, soprattutto, perché la Commedia, in un mondo bombardato da continuità comunicazionale, disinteresse civico e incapacità di un esame consapevole della storia, trova ancora fan accaniti? Il presente lavoro vuole rispondere a tali domande, analizzando i meccanismi utilizzati, inconsapevolmente, da Dante per favorire quella che Gallese, a seguito della scoperta dei neuroni specchio, ha definito simulazione incarnata: il modo in cui il nostro cervello entra fisicamente nei prodotti dell'arte per viverli appieno. Partendo dai passi più celebri dell'Inferno, alla luce delle più moderne scoperte neuroscientifiche, sono prese in esame le tecniche di neurolinguistica con cui Dante è riuscito a fare della Commedia uno dei testi, se non il testo, più vivo e presente tuttora nelle nostre menti.