Un, due, tre. È così, secondo Aristotele, che Omero e i grandi tragici raccontavano le loro storie. Inizio: sorge un problema; svolgimento: si tenta di risolverlo; fine: a volte va bene, altre male. Un ballo a tre passi, come un valzer. Una danza da cui i personaggi escono cambiati nel profondo. Nella Poetica, il geniale filosofo chiama questa tecnica narrativa drammaturgia. Gli americani, due millenni dopo, l'hanno ribattezzata struttura in tre atti. L'inglese ha sostituito il greco, ma i princìpi sono quelli: l'Edipo re e il pilota de I Soprano hanno gli stessi snodi di trama; i protagonisti di Ritorno al futuro e del Filottete vivono i medesimi dubbi; l'Iliade è un racconto polifonico, come Stranger Things. Oltre a creare un ponte fra i narratori di ieri e di oggi, questo libro si pone una domanda esistenziale: e se fosse la vita a essere in tre atti? In fondo, per Aristotele l'arte imita la realtà. Saggio e memoir, Vivere in tre atti è una lettura dei classici greci, un'analisi di un gran numero di film, testi teatrali e serie tv degli ultimi anni, e un romanzo di formazione su un adolescente innamorato della scrittura che diventa adulto inseguendo il suo sogno negli Stati Uniti.