"All'improvviso da essere giovane mi ritrovo vecchio. Quando è successo? E come?". Questo, o qualcosa di simile, è quello che pensa Giorgio, alla vigilia del suo sessantesimo compleanno. Che sia arrivato, anche per lui, il tempo dei bilanci? Un'ex moglie, una vita tra Firenze e New York, un buon momento personale e professionale. E la certezza di avere quarant'anni. Certezza che però si deve scontrare con la data impressa sulla carta di identità e con un elenco considerevole di acciacchi e malanni. A sei anni di distanza dal suo precedente libro, Giorgio van Straten torna al romanzo e racconta, con uno sguardo acuto e ironico, un protagonista degno dello Zuckerman di Philip Roth e del Barney di Mordecai Richler. Lo spaesamento di una generazione, i desideri che non invecchiano con l'età, le relazioni, complicate ma inesauribili, con i propri affetti più cari - la donna amata, il migliore amico, la figlia -, gli incontri galanti più o meno occasionali, la crisi politica e sociale del mondo in cui si è vissuti e invecchiati, il ritratto, tratteggiato con sarcastica dolcezza e dolce sarcasmo, degli ambienti intellettuali di sinistra italiani e americani, una riflessione, leggera e profonda, sul tempo che passa. E, ovviamente, una disperata vitalità. Tutto questo è il teatro messo in scena da van Straten nel suo nuovo romanzo.