Se nella celebre definizione che ne dà Heidegger la filosofia è uno sguardo dentro a ciò che è, nel caso di Emanuele Severino, maestro di pensiero, potremmo dire che quello sguardo si è appuntato anche su tutto ciò che nel frattempo gli scorreva intorno, affrontando le questioni salienti del nostro tempo per coglierne il vero significato. Questo atteggiamento si rileva in particolare nei testi pubblicati sul «Corriere della Sera», una collaborazione lunghissima e fedele, tanto che a buona ragione si può dire che il «Corriere» è stato il suo giornale. Un lavoro riassunto in questo libro, in cui la sua riflessione sfiora la superficie - così come la intendeva Nietzsche, non strato primario del reale ma apparenza che è invece massima espressione di profondità - di numerosi ambiti. Spettatore partecipe e protagonista intellettuale di un secolo in cui emergeva il dominio della tecnoscienza quale forma di coerente realizzazione dell'ontologia greca, Severino ha ravvisato proprio qui il luogo di origine di quella filosofia che nasce grande e insieme ferita, perché tratta come evidenza suprema quella che è in verità una convinzione senza fondamento: che le cose nascano e muoiano, oscillando tra l'essere e il nulla.