Cogliere il processo di costruzione identitario messo in atto, con dovizia certosina, dai miliziani jihadisti, che hanno normalizzato l'uso retorico delle immagini mediante le quali mostrare violenza, esclusione e auto-celebrazione; nonché sublimazione del latente e del non detto, ossimoricamente ostentato attraverso il ricorso a codici plurali e fortemente calibrati sul destinatario; ma anche liminarità e tanatoprassi di quell'altra società rappresentata dall'Occidente empio, sono state le determinanti costituenti l'oggetto della presente ricerca. L'analisi di questa guerra per immagini - termine qui provocatoriamente impiegato, poiché non si allude né alla mera dimensione religiosa, né conflittuale, bensì a quella geopolitica e militare - prosegue con una descrizione densa dei frame istituiti da alcuni media nazionali e locali, per cercare di scardinare le formazioni discorsive e le oggettivizzazioni dell'Altro, funzionali alla dimensione politica del suddetto quadro sinestetico, specchio di una stereotipizzazione ed estremizzazione di quella banalità del male di Arendtiana memoria.