Mosè Maimonide scrisse il Trattato sulla Resurrezione dei morti nel 1191 per rispondere ad alcuni critici che avevano insinuato una sua non credenza nella resurrezione, tema sul quale egli si era già soffermato nell'Introduzione al X capitolo di Sanhedrin (qui tradotto). Opponendosi all'opinione diffusa nella cultura rabbinica, che identifica la resurrezione con il ritorno del Messia, Maimonide opera, in primo luogo, una netta distinzione tra la vita del mondo a venire, che pertiene esclusivamente alle anime, e la vita del mondo della resurrezione, che riguarda i corpi. In secondo luogo, pone una differenza tra il mondo della resurrezione e l'ora messianica, stabilendo che la resurrezione dei morti non è legata necessariamente alla venuta del Messia né ai prodigi che questi opererà, ma unicamente alla volontà imperscrutabile di Dio, che in qualunque momento potrà suscitarla o impedire che si manifesti. Per Maimonide la resurrezione è il mondo a venire, dimensione spirituale ed eterna in cui confluiranno le anime dei beati, una volta spogliatesi per la seconda volta dei corpi.