Alcuni processi nascono sotto una cattiva stella. I quattro ragazzi condannati all'ergastolo per l'omicidio della piccola Graziella Mansi rappresentano l'immagine perfetta della sfortuna. Il fato si accanì nei loro confronti ripetutamente: la conoscenza e la frequentazione sia pur sporadica del vero e unico autore dell'omicidio; l'equivoco valutativo in cui cadde il giudice; le immagini incomplete della telecamera di una banca che non riprese a figura intera, in orario incompatibile con l'esecuzione del delitto, uno dei ragazzi del "branco"; una Corte composta da giudici togati nominati in parte fuori dalle regole ordinarie; infine, un dibattimento celebrato in un ambiente esterno ostile. Le sentenze ignorarono situazioni di fatto che contrastavano con la presenza dei quattro a Castel del Monte. Reticenze e omertà di testimoni si mescolarono con gli spartiti menzogneri recitati da personaggi discutibili. Tutti colpevoli, alla fine. E condannati all'ergastolo, una pena contraria al principio costituzionalmente sancito della sua funzione rieducativa, che conduce alla morte civile quegli imputati che, pur innocenti, sono ritenuti responsabili.