Si è ritenuto opportuno addivenire a una riflessione complessiva sul tema del rapporto tra diritti e rimedi, fino a questo momento affidata ad alcuni saggi dedicati al tema e pubblicati nella "Rivista Europa e Diritto Privato". Il "rimedio", già in linea approssimativa, può definirsi uno strumento di risposta alla violazione di un diritto o alla mancata soddisfazione di un interesse giuridicamente riconosciuto, ma non enunciato tuttavia in una regola sanzionatoria che è preoccupata principalmente di descrivere la fattispecie e i suoi effetti. Pur essendo il nostro ordinamento un diritto codificato, lo spazio occupato da una prospettiva rimediale appare innegabile. Lo spazio è quello lasciato dalla zona coperta da regole di fattispecie che spesso lasciano scoperti vuoti normativi con riguardo ai molteplici bisogni di tutela manifestati da interessi che restano insoddisfatti. Sembra quasi un paradosso che, ad esempio forme di tutela c.d. specifica, e cioè che assicurano al titolare proprio il conseguimento "del bene della vita" cui esso ha diritto (ad esempio la prestazione dovuta) non siano espressamente enunciate, ritenendosi, in via generale, sufficiente che la tutela dell'interesse insoddisfatto abbia luogo per via equivalente e cioè attraverso il risarcimento del danno. Esemplare è la regula aurea dell'art. 1218 c.c., ove l'inadempimento dell'obbligo non sembra dar luogo ad altro effetto che al risarcimento del danno. Disposizioni sostanzialmente a carattere processuale (come gli artt. 2930 cod. civ. e segg.) presuppongono che esista per loro risposta già sul terreno del diritto sostanziale.