La nostra cultura tende a rapportarsi alla tradizione e all'avvenire in forma dicotomica o schizofrenica, dando luogo a una serie di polarità inconciliabili. O viene a trovarsi sbilanciata verso il passato - e dunque a proseguire nella commemorazione della tradizione fino agli esiti più disastrosi che ciò comporta (pensiamo ai fondamentalismi) - o verso il futuro, inteso come cancellazione nella forma della demolizione. Attraverso il concetto di «carattere distruttivo» Walter Benjamin insegna non solo a rapportarsi in modo nuovo con la nostra memoria, il nostro passato, la nostra tradizione, ma anche a comprendere le nozioni di passaggio, soglia, transizione. Egli propone un concetto «positivo» di distruzione, che non comporta la cancellazione totale di ciò che prima esisteva, ma rivela la traccia di quella facoltà conservativa per eccellenza a cui diamo il nome di memoria. Lo spazio in cui opera il carattere distruttivo è lo spazio dello sconfinamento, della possibilità del cambiamento e dell'emancipazione; lo spazio in cui è possibile tenere insieme passato e futuro, memoria e redenzione. A chiudere e arricchire il quadro il confronto con due pensatori, contemporanei a Benjamin e definiti da lui stesso caratteri distruttivi, poiché sono espressione di momenti di rivolgimento nell'ambito in cui hanno operato, ma anche e soprattutto perché hanno fatto della transizione uno strumento di ricerca e di pensiero: Bertolt Brecht e Albert Einstein.