Questa prima parte del volume, come la seconda che seguirà, tratta delle cronache nude e crude sui malumori del popolo che portarono alla rivolta del 1547. Una carrellata iniziale sul secolo dell'opposizione religiosa immerge il lettore nelle cronache del Cinquecento, i giornali dei cronisti dell'epoca, che ci raccontano di una capitale oppressa dalla religione e dallo strapotere del Viceré spagnolo Pietro da Toledo, imposto dall'Imperatore Carlo V, che pure si era mostrato liberale a Napoli 'città fedelissima'. Le ragioni sono da ricercarsi nella crescente povertà dovuta alle guerre di religione e di stato che ancora richiedono la necessaria sedimentazione, specie tra Francia e Spagna, come in Tunisia. In fondo è un bel periodo solo per i dominatori, che si sollazzano fra i bagni di Pozzuoli e le corti locali, ma debiti, corsari e prestiti a strozzo sono il vero problema che faranno esplodere il popolo. La lunga premessa immerge il lettore anche in episodi 'leggeri' fra la parentela dei Toledo con il Duca di Firenze, l'amante a viceregina, il segretario dalla mano lesta, e lo stesso Viceré giocatore d'azzardo e sadico vendicatore. E così, il falso illuminismo delle nuove strade, delle statue nelle piazze, delle fontane zampillanti, contrasta con le centinaia di napoletani mandati alla forca o a ingrossare le sale della nuova Vicaria fatta costruire apposta per giustiziare i Napoletani, da accusare e torturare. Gli ordini nuovi vengono affissi nel duomo e parlano chiaro: ai laici è vietato parlare di religione. Ora il rischio di finire sotto i ferri della luccicante sala delle torture è reale. E saranno centinaia i Napoletani costretti a confessare peccati mortali inesistenti, per il macabro gusto degli ufficiali spagnoli di vedere squartati in pezzi i nobili di Napoli, fuoriusciti e filofrancesi. Le lettere, le poesie, la musica della Corte del Principe di Salerno, portata da Siena a Napoli, invidia del Re di Francia o del Gran Turco, vengono offuscate dalla sete di vendetta del Viceré che perseguita Ferrante Sanseverino fino a vederne morta la bella principessa, seppur amati dall'Imperatore. L'autore fa parlare copisti e cronisti, Miccio, Castaldo, Spiniello e gli anonimi: tutti a raccontare di un popolo sempre ribelle, a causa delle vendette subite, pronto alla guerra civile alla sola notizia dell'Inquisizione, già accusato del delitto di eresia, per essere sempre più lontano dalle imposizioni papaline. L'idea di non volere l'Inquisizione, covata sotto Papa Paolo III e agognata da Paolo IV, il più terribile della storia, porta il popolo, sentitosi tradito, a ribellarsi a tutti, perfino a scagliarsi contro i nobili che lo hanno utilizzato, accusato e tradito. Ma il Viceré colpisce tutti, editto dopo editto, mendicanti e gentiluomini, fino alla persecuzione del Principe di Salerno, colui che sognava un mondo di arte, di scienze e di natura. È la bellezza pura di corpi che si intrecciano e amoreggiano leggiadri alla falsa accusa di sodomìa, che è vera eresia.