C'è un sottile filo occulto che lega le pratiche magiche antiche, medievali e rinascimentali al terrorismo dei cosiddetti "Anni di piombo". Una visione del tutto fatta di corrispondenze speculari, partendo dal mitico Zoroastro, attraversando le diaboliche magie di Cecco d'Ascoli (1269-1327), sino a giungere alla tragedia del rapimento Moro. La specificità della magia è da ricercarsi nella strana mistione di elementi cosmologici ed "esistenziali", astrologici e "necromantici". Da un punto di vista etimologico, la "necromanzia" era la divinazione praticata attraverso gli spiriti dei morti, un vocabolo che si può leggere in parallelo a "negromanzia", più consueto in ambito medievale per indicare quella magia in cui si faceva ricorso all'ausilio dei demoni. Cecco d'Ascoli spiegava che "il medico senza le stelle e il negromante senza le ossa dei morti, erano come un'immagine non vivificata dagli spiriti". Un'immagine che richiama alla mente gli scenari dell'antica Tessaglia, dove si narra vivessero gli antichi necromanti; degli stregoni chiamati "evocatori di anime" (psychagogoi) i quali con un certo tipo di purificazioni e incantesimi rendevano visibili oppure allontanavano spettri e fantasmi. I morti perseguitano i vivi. Li rimordono - di un morso segreto, letale e ripetuto. Ogni ordine autonomo si costituisce in virtù di ciò che elimina, producendo un residuo condannato all'oblio. C'è un potere di intervenire nella realtà e il mago se ne fa portavoce: custodisce conoscenze astronomico-astrologiche, costruisce talismani e sa come applicarli terapeuticamente; sovrintende a un complesso di immagini, simboli, fantasie e "spiriti" d'ogni genere ai quali impone la sua volontà.