Nel 1944, nel Friuli percorso dalle truppe naziste e devastato dai bombardamenti anglo-americani, il giovane Pier Paolo Pasolini scrive in friulano un dramma, a metà fra la tragedia e la sacra rappresentazione, che contiene, in una drastica e quasi profetica abbreviazione, tutti i temi della sua opera futura. Soggetto del dramma è l'invasione dei Turchi in Friuli del 1499, testimoniata da una lapide che il giovane poeta poteva leggere nella chiesa di Casarsa: ma, sotto l'apparenza di un'evocazione storica, è tutto il mondo di Pasolini che I Turchi in Friuli mette in scena in un inestricabile ordito di elementi personali (i protagonisti portano lo stesso nome della madre Susanna Colussil e motivi ideali: l'appassionata fede religiosa e la rivolta contro la Chiesa, l'amore per la vita e la fascinazione per la morte (l'uccisione di Meni Colùs alla fine del dramma sembra annunciare quella del fratello Guido solo un anno dopo), l'impegno nell'azione e la fuga nella preghiera. E non è certo un caso se tutti questi motivi, almeno in apparenza contraddittori, si compongono in una parola che è la stessa che il poeta molti anni dopo avrebbe proposto come titolo per la raccolta delle sue poesie complete: bestemmia. Il libro presenta il testo originale nell'autorevole revisione critica di Graziella Chiarcossi, accompagnata dalla traduzione in versi di Ivan Crico, uno dei più sensibili poeti friulani di oggi. Prefazione di Giorgio Agamben.