Il mondo del teatro professionistico non piaceva a Pier Paolo Pasolini, gli era estraneo: a dominare sulle scene era infatti una lingua artificiale che a lui suonava falsa, artefatta, convenzionale. Eppure, mentre nelle dichiarazioni pubbliche il poeta rimarcava lontananza e disinteresse per il palcoscenico, a un livello più profondo un'urgenza nutriva la sua creatività, e intorno alla metà degli anni Sessanta, nell'era della televisione e delle masse, il tanto bistrattato teatro diventò quasi una via di fuga. Con questo secondo volume si conclude la raccolta delle tragedie scritte in quel periodo: vi sono contenuti il dramma Porcile, in dialogo simbolico con l'omonimo film, nel quale si racconta la vita di un grande industriale tedesco e si descrive l'eterna ipocrisia con cui si cementa la classe al potere; Orgia, l'unica portata in scena con la cura personale dell'autore, in cui si mostra la disperata lotta di chi è diverso contro la normalità che respinge ai margini; infine Bestia da stile, la storia del poeta cecoslovacco Jan che lo stesso autore non ha esitato a definire «un'autobiografia». In appendice, tra gli altri materiali, compare il Manifesto per un nuovo teatro, un documento teorico in cui Pasolini ribadisce le sue dure critiche al teatro borghese italiano rilanciando l'idea di un «teatro di Parola» insieme antico e innovatore, da cui sarebbe dipeso tutto il suo lavoro futuro. Prefazione di Oliviero Ponte di Pino.