Nato per un laboratorio di Giorgio Alberazzi, Il santo e il leone porta sulla scena l'incontro tra Federico II di Svevia e San Francesco di Assisi, i due campioni più in vista del secolo XIII. Ma fu vero quell'incontro? E fu vera la vicenda che presenta un topos tipico nelle agiografie della santità medievale dell'incontro tra una donna tentatrice e un santo, con l'invito da parte di quest'ultimo a giacere su un letto di carboni ardenti? Un deuteragonista di non poco rilievo sarà il glottologo Gerard Rohlfs, il quale è alla ricerca di documenti medievali che svilupperanno, da angolazioni diverse, la medesima vicenda, avvolta com'è da un alone di mistero. Il testo si sviluppa così tra echi epici e mistici e al tempo stesso in un'atmosfera decadente e malinconica, determinata dagli eventi della seconda guerra mondiale. È durante quegli anni, infatti, che si svolge la vicenda del ritrovamento e della perdita contestuale dei documenti, nella cripta di una chiesa tedesca. L'azione scenica viene avvolta da un clima di disfacimento e di disperazione, lo stesso nel quale la storia costringe inesorabilmente gli individui e le collettività.