"Alcesti" di Euripide va in scena per la prima volta nel 438 a.C., quarto atto di una tetralogia tragica che comprendeva "Le Cretesi", "Alcmeone a Psofide" e "Telefo". È stata definita nel tempo tragicommedia ma anche melodramma, pastiche sincretico di stili e generi, opera pro-satirica - cioè collocata al posto del dramma satiresco senza essere dramma satiresco - oppure tragedia con connotati satirici nella quale l'atmosfera luttuosa viene decostruita, oltre che dal lieto fine, anche dalla presenza di Eracle mangione e beone, archetipo tipico della commedia, che rompe l'incantesimo rituale del compianto e contamina le lacrime inconsolabili di parenti e servitù per la morte della protagonista con la riaffermazione irriverente del carpe diem. In effetti, il dramma segue il corso contrario rispetto all'andamento codificato della tragedia: dalla morte iniziale si giunge alla vita, persino alla resurrezione finale, come non dovrebbe essere nella peripezia tragica consueta.