Innamorata del greco Giasone, per lui Medea tradisce il padre, uccide il fratello, abbandona la patria. Ma l'evento che la caratterizza in modo assoluto è quello che Euripide ha scelto di portare in scena nel suo dramma: l'uccisione dei figli, l'atto estremo con cui essa si vendica dell'abbandono di Giasone. È con questo gesto che Medea si impone all'immaginario occidentale. In Euripide il personaggio conserva la sua ambiguità e rivendica, attraverso lo schermo del mito, la sua non appartenenza all'universo dei valori umani; Seneca riversa ogni colpa sul personaggio cupo e malefico della maga straniera; le rielaborazioni moderne cercano invece di ancorare a una realtà comprensibile, ed entro certi limiti anche giustificabile, un'azione che di per sé è incomprensibile e ingiustificabile. Si fa strada così la figura di Medea vittima delle circostanze avverse e del destino in Grillparzer, e poi quella di Medea straniera ed esule, esclusa e respinta dalla comunità che la ospita in Alvaro: un percorso che tende ad alleggerire il peso della colpa chiamando in causa ragioni esterne, inevitabili e determinanti. Alla fine l'infanticidio appare dettato da un'estrema necessità di proteggere e di amare, da un esasperato senso di pietà materna. E tuttavia l'atto rimane, epilogo irreversibile e nodo irrisolto nella tragica storia di Medea.