Quando, intorno al 1822, il diciottenne Wilhelm Waiblinger comincia a frequentarlo, Hölderlin vive ormai da oltre vent'anni recluso nella "Torre" in riva al Neckar, obnubilato, isolato dal mondo - non è più, insomma, "da considerarsi tra i vivi". Va su e giù come "le fiere ... nelle loro gabbie", suscitando in Waiblinger un brivido di orrore, recita giorno e notte un monologo incessante, e rivolge ai rari ospiti un profluvio di parole sconnesse in una lingua inventata. Mosso da un'ardente devozione, Waiblinger scruta con amorevole pietas la vita quotidiana del poeta, ma, soprattutto, riesce a penetrarne il delirio, parlando con lui di poesia, di musica e del passato, facendo in sua compagnia lunghe e rasserenanti passeggiate in riva al fiume o nella pace delle vigne. Di questa intensa frequentazione Friedrich Hölderlin, che Waiblinger scrisse tra il 1827 e il 1828 in Italia - dove si era trasferito per sfuggire alla miseria e all'autodistruzione -, è il frutto: un ritratto fra novella romantica e dramma del destino, in cui il lettore troverà delineati la giovinezza di Hölderlin e i suoi studi, le passioni e gli amori infelici (come quello per Susette Gontard, la sua Diotima). Ma, al tempo stesso, molto di più: Waiblinger fu il primo a intuire la grandezza di Hölderlin, a cogliere il valore dei suoi manoscritti, a interrogarsi sul tormentato processo della sua scrittura, sicché questa testimonianza assume il peso di un precoce, essenziale gesto di fondazione critica.