La fiaba di Baum, il "Mago di Oz", contrariamente all'intenzione dell'autore di offrire ai lettori - bambini e adolescenti - un'opera solo "per meravigliare e divertire", viene affrontata con un approccio fuori dal coro. Con una scrittura raffinata, di soglia fra letteratura e psicoanalisi, l'autrice accompagna il lettore e lo guida ad acquisire progressivamente la capacità di superare il linguaggio letterale per approdare a quello simbolico. Così quello che neanche Baum immaginava viene a galla e, man mano che l'autrice si addentra nella trama, emergono tematiche di notevole interesse per la psicologia del profondo e per la vita in generale. In modo avvincente, senza giudizio e senza ricorrere a concetti psicopatologici, la lettura di questo racconto ci accompagna, attraverso un processo magico e non razionale, nel viaggio di ritorno all'integrità del Sé dopo la frammentazione psichica indotta dal trauma della solitudine. Il viaggio di ritorno è simile alla magia dell'inconscio che si esprime attraverso avvincenti metafore, basate sulle illusioni dell'anima e su proiezioni che non sono da superare, ma da comprendere nel loro significato psicologico. Infatti i personaggi non rinunciano alla loro illusione, neanche di fronte all'evidenza, realizzando il loro desiderio con la mediazione del mago che, per certi versi, diviene una figura del Doppio d'Ombra dell'analista. "Ritornare a casa" (a se stessi) è primariamente un processo magico che va oltre la consapevolezza, la quale sopraggiunge solo in seconda istanza e solo se la coscienza si allontana abbastanza dalla sua storia reale, entrando nella surrealtà dell'immaginazione simbolica. L'autrice accosta il racconto con empatia, lontana da schematismi, ma giocando con l'intuizione in una sorta di visionarietà surreale che la porta a passare da un livello all'altro di ideazione e di linguaggio. Il libro, di agevole lettura, interessa un vasto pubblico: da psicologi e psicoanalisti, a educatori e amanti della letteratura di qualità.