Filippo Rubè, il protagonista, è una personalità complessa, piena di contraddizioni e complicazioni, sempre intento a scrutare dentro il proprio animo e a tormentarsi. Insoddisfatto della propria condizione di giovane avvocato con aspirazioni politiche, corre volontario in guerra, dove spera di purificarsi. È un acceso interventista, ma ben presto scopre di avere paura delle bombe. Quando viene ferito in modo casuale passa per eroe, ma dentro di sé, invece, è consapevole di essere un vile. Nel dopoguerra si trasferisce a Milano per darsi agli affari, ma anche in questo caso fallisce miseramente. Si sposa, ma è incapace di amare la moglie; si fa un'amante, ma anche con lei finisce in tragedia. Continuamente portato ad analizzare sé stesso, incapace di sentimenti veri, tormentato dai dubbi, Filippo Rubè entra a pieno titolo nella nobile famiglia degli "inetti" della letteratura italiana. Come i protagonisti dei libri di Svevo, Tozzi e Pirandello, è estraneo alla vita e soffre di quello che anni dopo verrà chiamato "il male di vivere". È stato detto che Rubè è, innanzitutto, un romanzo psicologico, che, però, porta e sviluppa dentro di sé un romanzo politico. Accolto male dalla critica fin dall'inizio, ogni tanto qualcuno lo riprende e ne tesse le lodi, ma ben presto il libro torna nell'ombra, quasi fosse condannato all'oblio.