«Ho pensato moltissimo se fare un lavoro su Leopardi. Un mostro sacro di tal fatta mi metteva veramente paura, paura di non riuscire ad addomesticarlo e a farlo mio. Più che lo rileggevo mi rendevo sempre più conto della sua polivalenza geniale a prescindere da chi scioccamente attribuisce le sue idee alla sua malformazione fisica. Certo era un genio, studiato da tutte le parti con mezzi che avevo paura di non avere e poi a che pro'? per dire quello che hanno già detto altri meglio di me, visto che io non sono un leopardista, ma solo un ricercatore nel settore dell'educazione. Io volevo portarlo nel mio campo. Stavo per dare forfait quando, avendo raccolto libri vecchi e nuovi su Leopardi, mi capita di riconoscerne uno già letto, un testo di Walter Binni, mio professore di letteratura italiana a Firenze. Il libro era intitolato "La nuova poetica leopardiana" edito a Roma nel 1947 e io mi ero trovato l'edizione del 1978. L'aureo libro mi ha dato la spinta per scrivere questo saggio che parla di scuola e di educazione, convinto che fossero già in mente di Giacomo prima ancora che sognasse il suo progetto. Giacomo aveva il sogno perché una parte di esso era già nella sua testa, era ciò che più gli importava: fare una scuola, che mai nessuno, in quel secolo "superbo e sciocco", avrebbe mai saputo fare. Lui sì. Ne era sicuro! Sapeva con certezza di ricordare il sogno, così come era certo di tenerlo segreto. Ero molto contento di aver portato Giacomo nel mio campo, un giocatore che giocava senza pallone e che sapeva bene cosa fare. Su queste certezze ho cominciato a leggere e a scrivere, prendendo come fonte lo "Zibaldone", le "Operette morali" e le liriche dell'ultimo Leopardi. Quanto ho scritto è, come per ogni saggio, una scommessa. Io spero di averla vinta, almeno in parte, e di aver fatto un omaggio al grande Giacomo, che, nel settore degli studi, desiderava forse di più. Auguro ai venticinque lettori che affronteranno questo saggio, di trovarlo il più gradevole e funzionale possibile per capire al meglio il mondo educativo del grande poeta recanatese e lo sforzo che ho fatto cercando di scriverlo, perdonandomi alcune o le tante inevitabili ingenuità.» (l'autore)