"Sono stato allevato in tre lingue morte (l'ebraico, l'aramaico e lo yiddish, alcuni questa non la considerano nemmeno una lingua) e in una cultura che si è sviluppata in Babilonia: il Talmud. Il cheder dove studiavo era una stanza dove il maestro mangiava e dove dormiva. Lì non studiavo aritmetica, geografia e storia, ma le leggi che governano i sacrifici offerti in un tempio distrutto duemila anni fa". Questa frase del grande scrittore Isaac Bashevis Singer rende l'idea dell'esperienza umana e spirituale, più unica che rara, in cui questo libro indaga. Si parla dell'opulenta fioritura letteraria e filosofica della cultura ebraica dell'Europa centro-orientale: un'enorme provincia di imperi, divisa tra decine di stati e popoli, resa vivacissima metropoli dall'inspiegabile cosmopolitismo di una comunità transnazionale, ospitante una folla di irrequieti sperimentatori di modi di esprimersi. Ed erano tutti, oltre che intellettuali, anche eroi timidi, poveri poeti, eccentrici viveur, avventurieri, spiriti eccelsi, asceti, santi bevitori, burloni divini. Oggi sono fantasmi di un mondo cancellato. Ma hanno lasciato una traccia tenace e nascosta in alcuni artisti e intellettuali che si sono coraggiosamente opposti, fino a pochi anni fa, al totalitarismo sovietico.