Una vicenda esistenziale e un universo narrativo i cui confini si estendono dalle isole dell'arcipelago malese, alle coste del Sudamerica, dalla Russia zarista alla giungla metropolitana della Londra a lui contemporanea, dall'Italia risorgimentale al cuore dell'Africa coloniale: è questo a definire il peculiare spazio che Joseph Conrad occupa sulla scena letteraria britannica fra Otto e Novecento. Narratore di lingua inglese ma intellettuale transnazionale, Conrad ha dato vita a un corpus testuale che, sviluppatosi proprio negli anni in cui andavano affermandosi la riflessione e la pratica geopolitica, sembra implicarne le medesime categorie. Le logiche che regolano i rapporti di potere fra le nazioni e al loro interno, con i conflitti che ne derivano, vengono indagate con occhio lucido e disincantato attraverso gli strumenti della trasfigurazione immaginativa. A muovere lo scrittore è, infatti, la convinzione che, come egli stesso afferma, "la narrativa è storia, storia umana, o non è niente. Ma è anche qualcosa di più; [...] poiché è basata sulla realtà delle forme e sull'osservazione dei fenomeni sociali, mentre la storia si basa su documenti, [...] su un'impressione di seconda mano. Perciò la narrativa è più vicina alla verità".