Leggere Kafka è un'avventura impegnativa: dalla prima riga ci costringe a interrogare il testo, che resta sempre enigmatico e sfuggente. Kafka "ha preso tutte le misure possibili contro l'interpretazione dei propri testi" avvertiva Walter Benjamin. "Ogni proposizione dice: interpretami, ma nessuna tollera l'interpretazione", scriveva Theodor Adorno. "Si tratta di parabole a cui è stata sottratta la chiave", annotava nei suoi Appunti su Kafka, scritti verso la metà del secolo scorso. Ciononostante, le migliori menti del Novecento, insieme a una folla di critici, filosofi, letterati e lettori qualunque, si sono arrovellate sui testi di questo grande scrittore che in vita aveva pubblicato pochissimo. E ancora oggi fioccano studi, analisi e forum di discussione. Perché Kafka ha questo di straordinario: non solo ci avviluppa nelle sue singole storie, non solo ci folgora con i suoi aforismi, ci sconcerta con le sue parabole, ci distrae con le sue trovate comiche e ci punzecchia con il suo umorismo nero, ma ci fa sentire i destinatari privilegiati di un messaggio cifrato, nascosto tra le righe dei suoi racconti-rompicapo.