Gli scrittori piemontesi fanno un ingresso traumatico nella letteratura Italiana, dove portano presto qualche scompiglio: importante è il rifiuto di accettare l'uso della "bella lingua", teorizzata da Bembo come il "fine" dello scrivere. Ma già all'epoca Berni rivalutava quest'ultimo sostenendo: Ei dice cose e voi dite parole. E gli scrittori subalpini preferiscono mirare al sodo, usare la lingua come strumento e non come fine, e tendono a comportarsi come barbari e ribelli nel "giardino chiuso" della Letteratura, bello, razionale, con aiuole e fontane ben disegnate, che appare fin troppo elegante e raffinato a loro, intenti ad inserirvi una genuina e brusca spontaneità.