«Agire subito!» è l'appello che accomuna i nuovi movimenti giovanili contro il cambiamento climatico. Hanno ragione, ma se le risposte tardano a venire lo scoraggiamento è in agguato. Forse la transizione ecologica, quella vera, è un processo di lunga lena, una rivoluzione epocale che richiede progettualità: determinazione, impegno infaticabile, insomma un percorso da maratoneti, non da sprinter. E per prepararsi può aiutare la dimensione storica, la consapevolezza che la questione ecologica ha una storia lunga, ricca e fertile, che può offrire speranza per il futuro. Questo è il senso di una riflessione che parta dal 1973, l'anno della prima crisi petrolifera, che appariva una clamorosa conferma di quella mole incredibile di analisi e proposte offerte dalla "primavera ecologica" nei primi anni Settanta, quando sembrava che tutto fosse predisposto perché la crisi venisse affrontata aggredendone le cause profonde. Invece non fu così. Comprendere perché, allora, la svolta non c'è stata è necessario per evitare che anche oggi, mentre di nuovo il Golfo Persico si infiamma, l'annunciata transizione ecologica si traduca in un colossale bluff, nell'ennesima occasione.