Uno spettro si aggira per l'Europa del futuro: è il giurista di domani. La sua pena errabonda non è causata dal sospetto dell'uomo della strada (che imputa ad avvocati, giudici e notai alchimie tecniche care per le sue tasche o lontane dai suoi bisogni) né dall'insofferenza dei management societari (che considerano i consulenti legali come "bastoni tra le ruote" nella speditezza degli affari aziendali), né dall'esser considerato superfluo, se non nocivo, da molti intellettuali (che gli imputano aridità culturale e inerzia nelle riforme) e bistrattato dal legislatore (il quale lo mette alla prova destrutturando l'ordinamento giuridico con estemporanee e continue riscritture di esso). Non è questo il problema: il giurista sa che è da tempo così; sa che il problema non è l'immaginario collettivo su di lui, perché questo appartiene alla sua stessa Storia - e del resto altre categorie professionali non stanno meglio da quel punto di vista ... La questione è ben altra: quale che sia la figura (avvocato, magistrato, notaio, legale aziendale, funzionario amministrativo, insegnante, ecc.) in cui il futuro giurista deciderà di incarnare la propria anima, rischierà di fare una scoperta orrenda: non ce l'avrà più, l'anima. Non avrà più, dopo quasi un millennio, un'anima da giurista, perché gliel'hanno strappata dal luogo dove essa gli sarebbe stata insufflata: l'Università.