Da qualche tempo la filosofia del diritto sembrerebbe essersi finalmente accorta d'un operatore del diritto dapprima trattato con una certa superficialità e noncuranza: l'avvocato. Sul giudice e sul legislatore invece, ossia gli altri operatori del diritto - questi ultimi espressivi, però, di funzioni giuridiche paradigmatiche -, si sono da sempre affastellati studi e arrovellati teorici e filosofi del diritto. Questa situazione si fa parossistica con l'egemonia dottrinale del positivismo giuridico, nella cui mappa delle funzioni giuridiche l'avvocato non ha riferimento alcuno. Eppure, l'avvocato è quel medium fondamentale che consente al cittadino di essere un vero partecipante della prassi del diritto, consentendogli di assumere un punto di vista autenticamente interno, altrimenti per lui inaccessibile. L'attività paradigmatica del difensore è quella della lucerna: «aliis serviendo consumor». Ecco perché la riflessione sul concetto di diritto non può fare a meno di ruminare analisi sulla figura dell'avvocato, in una biunivoca dipendenza: la teorizzazione delle funzioni, e persino dei doveri etico-professionali dipende dalla concezione di diritto che assumiamo, la quale a sua volta può dirsi dipendente dal modo in cui si consente la partecipazione fattiva nella prassi del diritto. Il libro tratta questi temi, nel tentativo di ricostruire il dibattito giusfilosofico contemporaneo recuperando gli apporti di una tradizione italiana di studi deontologici assai raffinata, seppur per certi versi filosoficamente inconsapevole.