Attraverso sentenze, cronache giudiziarie, atti parlamentari, documenti d'archivio inediti e la corrispondenza con l'involontario protagonista di uno dei casi studiati, Marco Provera ricostruisce la storia del reato di plagio nell'Italia contemporanea. Il saggio parte dall'evoluzione del plagio, dall'antichità agli ordinamenti statuali italiani prima dell'Unità, e passa in rassegna il codice Zanardelli, il codice Rocco - tuttora vigente - e la giurisprudenza relativa alle codificazioni dell'Italia unita. Interessante è l'analisi di due casi particolarmente noti nella nostra giurisprudenza: il caso Braibanti - artista con un passato da dirigente locale del Partito comunista, accusato di aver indotto due diciannovenni in sua dipendenza psicologica - e il processo Grasso - prete "di borgata" e carismatico, accusato da alcuni genitori di aver plagiato i loro figli minorenni. Ricercando le matrici culturali del fenomeno che ha dato luogo ai "casi celebri" e ai successivi tentativi di reintrodurre un reato di "manipolazione mentale" nel nostro sistema penale, lo studio indaga sulle fobie che hanno interessato il mondo anglosassone nella fase più acuta della Guerra fredda e sulle sedicenti "terapie di conversione" della devianza sessuale, per approdare al commento della giurisprudenza nordamericana dell'inizio degli anni Ottanta del Novecento sulle sette cosiddette distruttive. Al di là delle storie di vita che emergono dai documenti processuali e dalle sentenze, il saggio si propone di analizzare il contesto più propriamente politico di quelle vicende e, in controluce, le trasformazioni della cultura giuridica, delle istituzioni e del costume che hanno attraversato il nostro Paese.