In epoche e culture tra loro diverse e lontane, la vendetta è sempre stata ritualizzata per poter costituire un modo di regolazione della violenza ed evitarne l'esplosione incontrollata prodotta dal risentimento. Quando ancora lo Stato non c'è, o s'interessa d'altro, la vendetta non è una scelta o un accessorio: è un obbligo sociale. Ci si deve vendicare; ma non ci si deve vendicare "troppo". E deve sempre essere prevista, come in ogni relazione in cui la comunicazione non sia stata artificialmente interrotta, la possibilità della mediazione rappresentata dal risarcimento diretto che sia stato accettato e accolto dalla vittima. Scopo del presente lavoro è quello di rintracciare archeologicamente, nell'arco storico temporale occidentale, il "rimosso" di una volontà di giustizia trans storica e trans culturale la cui origine trova le radici nel lato più oscuro dell'umano ma anche quello meno contrattabile. La "natura" stessa della vendetta si ripresenta, nella società postmoderna o tardo moderna, come emergenza di bisogni mai sopiti, solo in apparenza arcaici o antichi, primitivi e incivili. Da tempo lo Stato si è sostituito all'offeso: ha imparato a punire, ma ha dimenticato la vittima. Oggi le vittime talvolta rivendicano (appunto) di tornare a essere protagoniste a pieno titolo di una giustizia di riparazione che ripristini il faccia a faccia con l'aggressore, in luogo della giustizia meramente repressiva dello Stato.