In che modo la parola "autonomia" si è collocata nel divenire del linguaggio giuridico dei secoli XIX e XX? Quale ruolo ha giocato nel discorso dei giuristi? Com'è stata riscoperta, utilizzata, trasformata, levigata, dal sapere giuridico per rappresentare l'ordine, il rapporto fra le parti e il tutto, tra pluralità e unità? La tensione del discorso giuridico ad attribuire un grado elevato di precisione concettuale alla parola si misura nel XIX e XX secolo con una sorta di continua ribellione del lemma a lasciarsi ridurre entro una dimensione tecnico-giuridica univoca. A conferire polisemia a "autonomia" è la sua disponibilità a rinascere e ad assumere funzioni diverse, a "moltiplicarsi e disperdersi": ora si piega docile entro una gerarchia, graduata e subordinata a un'unità vincolante, a un sistema di regole e confini; ora invece si sottrae a degradazioni e subordinazioni. Obiettivo del "Quaderno" è di seguire nel corso dell'Ottocento e del Novecento il termine "autonomia" come nucleo generatore di enunciati, archè di tematizzazioni e strategie discorsive, come lemma identico e diverso nei "ritorni", nelle relazioni e opposizioni, nel ruolo propulsivo e costruttivo offerto alle discipline giuridiche per fissare nessi tra unità e pluralità, per vedere e progettare l'ordine.