Alla metà del XVIII secolo, furono proprio i giuristi ad avvertire il bisogno di un'attenzione filosofica all'esperienza giuridica come momento qualificante uno studio corretto delle stesse leggi positive. E per questo un insegnamento nuovo s'impose nel piano degli studi della giurisprudenza e prese per lo più il nome di filosofia del diritto, benché non tutti con esso intendessero la stessa cosa. Praticata come "filosofia particolare", come "esercitazione meramente filologica sul discorso giuridico" non godette di buona fama. In realtà, come nottola di Minerva, la filosofia del diritto era ed è inevitabilmente destinata ad "abbandonare l'intera esperienza giuridica all'irrazionalità del fatto compiuto e, in buona sostanza, alla forza""! Focalizzata invece l'attenzione filosofica sul problema del diritto inteso come esperienza, in una specie di ripiegamento sulle sue "radici"", che poi sono le radici stesse dell'esperienza umana, appare come originario il "riconoscimento della verità"", come ciò senza di cui l'esperienza, anche quella giuridica, neppure sarebbe.