Negli ultimi anni il settore della medical litigation ha registrato un aumento del numero di azioni giudiziarie per negligenza sanitaria, sempre più spesso fondate sulla perduta possibilità, per i pazienti, di ottenere l'esito terapeutico desiderato. Nel descritto contesto la figura della perdita di chance sta progressivamente acquisendo rilievo in ambito giuridico, in quanto in diversi ordinamenti la giurisprudenza ha cominciato a considerare il venir meno della possibilità per il paziente di guarire o di sopravvivere in termini di danno risarcibile. L'indagine svolta dall'Autore si focalizza sull'applicazione della teoria della perdita di chance nel contesto della malpratica sanitaria in tre Paesi facenti parte della c.d. Western Legal Tradition, due appartenenti alla famiglia di civil law, quello italiano e quello francese ed uno, quello statunitense, afferente al mondo di common law. L'Autore opera un'analisi diacronica e sincronica, la quale risulta necessaria nell'ottica di comprendere la ratio che è alla base di questa fattispecie risarcitoria, le differenti conformazioni che tale tipologia di danno ha assunto nei sistemi giuridici presi in considerazione, nonché l'impatto che quest'ultima ha provocato nell'ambito della responsabilità professionale, segnatamente di quella sanitaria. La figura della perdita di chance viene studiata, non soltanto sotto il profilo giuridico, bensì pure sotto il versante economico e quello medico-scientifico. Sotto il profilo prettamente giuridico la disamina svolta intende far emergere le ragioni sottostanti al frequente utilizzo di questa fattispecie di danno nella prassi giurisprudenziale, verificando in particolare l'ipotesi che il ricorso ad essa da parte dei giudici rappresenti, primariamente, una «reazione» all'impiego delle tradizionali regole giuridiche che presiedono all'accertamento del nesso di causalità in materia di responsabilità civile.