Nel libro si analizza la descrizione che Pomponio - un giurista romano, che scrive tra il 130 e il 180 d.C. - fa di tre suoi predecessori, attivi tra il 150 e il 120 a.C.: Publio Mucio Scevola, Marco Giunio Bruto, Manio Manilio. Si dedica particolare attenzione all'enigmatica locuzione - fundare ius civile - con cui egli descrive il contributo dei tre giuristi alla scienza giuridica. A tale proposito il volume pone in risalto la differenza tra l'attività cautelare, di marca orale, consistente nella redazione di formulari sostanziali e processuali, nel rilascio di pareri giuridici su questioni poste da cittadini o organi pubblici e nell'escogitazione di meccanismi tramite cui realizzare determinati effetti giuridici, e l'attività interpretativa, per sua natura scritta, consistente nell'interpretazione della legge e della consuetudine. Contrariamente alle visioni invalse, si sostiene che gli scritti dei tre giuristi analizzati avessero preminente natura interpretativa, basandosi in particolare sull'interpretazione delle XII Tavole, insieme di norme scritte approvate nel 450 a.C., che costituivano ancora il fulcro del diritto della società romana nel II secolo a.C., a cui venivano ricondotte le novità normative nel frattempo intervenute.