Lo studio affronta fondamentalmente tre questioni e cioè: se esista o meno, al livello costituzionale, un principio o una norma che obblighi il legislatore ad abrogare, modificare o integrare solo "espressamente" una disciplina già contenuta in un codice o in un testo unico o comunque in un corpus normativo organico; se sussista l'obbligo per il legislatore di esercitare la funzione legislativa in modo tale da produrre leggi "chiare", "semplici" e soprattutto "omogenee" per quanto attiene alle materie regolate; se esista il divieto per il legislatore di produrre norme con efficacia retroattiva anche al di fuori dell'ambito penale. Una corretta valorizzazione di principi costituzionali, unanimemente affermati e riconosciuti da dottrina e giurisprudenza, avrebbe consentito di porre, già da tempo, poderosi argini alla mai dismessa tendenza del potere politico di agire con irrazionalità ed arbitrio nella disciplina dei rapporti sociali. L'incapacità del legislatore repubblicano di vestire i panni del revisore costituzionale e la timidezza della giurisprudenza costituzionale hanno, invece, impedito di porre termine all'incertezza che ha caratterizzato il dibattito sulle tematiche oggetto del presente lavoro e di adeguare il dettato costituzionale alle esigenze di una moderna forma di Stato autenticamente liberale e democratica.