Povero Maigret: mai, in tutta la sua carriera, si è sentito umiliato come quando, di fronte a un pivello di questore che gli sorride con amabile perfidia, è costretto ad ammettere con se stesso di essere caduto in una trappola - peggio: di essersi fatto fregare come un principiante, e per di più da una ragazzina di neanche diciott'anni, nipote di un pezzo grosso del Consiglio di Stato, che ha raccontato alla polizia di essere stata rimorchiata proprio da lui, Maigret, in un caffè, di essere stata trascinata in un albergo e di aver ricevuto pesanti avance. Ma la ragazza non può aver fatto tutto da sola. E anche quel giovanottino pretenzioso e arrogante, il nuovo questore (al quale Maigret avrebbe comunque dato volentieri un pugno in faccia quando gli ha suggerito di offrire immediatamente le sue dimissioni), è solo una pedina. È talmente abbattuto, il commissario, e anche schifato, che sulle prime non ha il minimo desiderio di difendersi, anzi, accetta la disfatta quasi con sollievo: basta responsabilità, basta nottate a interrogare malviventi ingoiando solo birre e panini della brasserie Dauphine... Ma avrà uno scatto d'orgoglio (tutti noi, del resto, stavamo aspettando questo momento con il fiato sospeso), e comincerà a chiedersi "chi c'è dietro", e per quale ragione è stata architettata quella ignobile messinscena. Mentre Parigi "frigge sotto il sole" di giugno, Maigret sa che vuole e deve scoprirlo. E che deve farlo, per una volta, da solo.