Dopo tanti anni di lavoro, il viceispettore Giovanni Zanca si sentiva stanco e aveva deciso di andare in pensione, eppure in fondo al cuore conservava la «speranza che forse, prima o dopo, all'improvviso, sarebbe accaduto qualcosa che avrebbe riportato luce e chiarezza nella sua vita e nel mondo attorno a lui». Proprio la mattina in cui consegna la richiesta di pensionamento trova sulla scrivania una lettera anonima che denuncia l'esistenza di un vecchio casolare, situato in cima a Col Vetoraz, sopra la valle del Cartizze, dove si svolgono attività poco chiare. L'inchiesta lo porta non solo a scoprire uno dei luoghi più belli della terra di Valdobbiadene, ma anche a indagare su un furto di arredi sacri e a imbattersi in un mosaico variegato di storie, seguendo le quali emerge via via la strana logica dell'Osteria senza oste, grande metafora del mondo. Il romanzo è un atto d'amore verso queste terre e i suoi abitanti e vuol essere anche un invito ad andare in questo posto, unico al mondo, a bervi un prosecco e a mangiare un po' di soppressa.