I delitti del Cinquecento sono infiniti. Storie d'amore e di tradimenti, politici e familiari: i gialli storici si moltiplicano solo a ripescarli dal cilindro dei secoli. È il sangue di amici e parenti trafitti che ribolle, rivoltando sottosopra gli stati della povera Italia, dalla Duchessa d'Amalfi, uccisa a Venezia, agli amori all'acqua tofana. Costumi leggiadri che colpiscono Spaccanapoli e Piombino, con gli assassinii del secolo, del Principe Appiani e della Duchessa Maria d'Avalos, per finire con Bianca Cappello a Firenze e con il Principe e la Principessa di Salerno, nelle mire del Viceré di Napoli. Il nostro prologo sulle storie insanguinate alimenta la collana sulle storie insanguinate dal potere degli uomini e giunge al Cardinale Ippolito de' Medici, giovane rampante, abbandonato da Carlo V, pronto a preferirgli il cugino Alessandro, per Duca e per genero, e a lasciarlo morire lontano dalla Patria, in odore di rivolta e avvelenato fra gli strazi. Una pena durata dieci lunghi giorni, mentre mezza Firenze si recava a Napoli per trattare con quel Re e Imperatore. Eppure Ippolito, stando al resumé storico, fu Cardinale scelto dalla sua stessa Casata, fatta tornare a Firenze per riconquista imperiale, e perciò pronto a rivendicare il posto di Duca, come erede più anziano, osannato a gran voce dai fuoriusciti e dalle famiglie più in vista. Né gli bastarono la cattedra di Monreale, la corte imperiale, i viaggi e l'essere paladino del partito di opposizione: lui voleva essere Duca. Ecco allora che la congiura si allarga e prende piede in suo nome, lasciando scoprire al vero Duca, Alessandro de' Medici, il disegno criminoso del parente stretto, pronto a farlo uccidere. Ora un filtro d'amore, ma non è veleno; ora una tregua per le nozze di Caterina in Francia, ma non è la pace; ora l'apertura in famiglia; ma non è il dialogo. Da qui la decisione di Ippolito di affrontare a viso aperto l'Imperatore, recandosi da Roma a Napoli, pronto a guastargli la festa della vittoria riportata a Tunisi. Sarà il suo ultimo viaggio, finito a Itri, proprio nei giorni in cui si annunciano le nozze napoletane fra la figlia di Carlo V e il Duca. A dargli la zuppa avvelenata fu il suo staffiere, frate Andrea, per ordine partito forse dal capitano fiorentino Vitelli e con l'avallo del Viceré di Napoli, Don Pedro di Toledo, prossimo a genero di Alessandro. Cinque giorni di agonìa in cui si processa lo scalco, il quale confessa, poi ritratta, poi viene arrestato e infine pagato e liberato in quel di Firenze. Questo mentre il povero Cardinale si spegne e finisce i suoi giorni più atroci, che ormai assommano a dieci. Il mattino dopo è proprio il Viceré di Napoli, l'uomo che bloccò il prelato in partenza per la Sicilia, prima ancor che per Napoli, per raggiungere l'Imperatore. Fu infatti Don Pedro a ignorare i verbali di condanna e la confessione dello staffiere, annullando ulteriori torture e l'esecuzione capitale, e infine a concedere la grazia al colpevole. E fu sempre lui, avvisato della morte di Ippolito a darne annuncio di suo pugno, al suo Re, per poi ricordargli, nella stessa missiva, la promozione per il figlio. Una lunga lettera del Cardinale, destinata al medesimo Carlo V e forse a lui mai giunta, chiude questo libello di intrighi, sconosciuti ai più, e apre la mente al lettore sul post Rinascimento. Sabato Cuttrera