Vittorio Velletri fa il tassista a Milano. Lavora soltanto di notte, portandoci a spasso in una città trasformata, in un "luogo altrove" che funziona secondo regole proprie, popolato di creature che durante il giorno si rifugiano in un riposo tossico, sostenuti dal Ritalin e da altri farmaci che gli aiutino a confondersi nella "normalità" diurna. Come il Travis Bickle di Martin Scorsese, anche Vittorio Velletri è un serial killer, ma non un altrettanto solitario e implacabile idealista e niente affatto autodistruttivo. Lo scopriamo a poco a poco, in questa storia che, dopo un abbrivio pulp, vira in un noir a ruoli invertiti, in cui il cattivo, anzi il mostro, il prototipo del criminale cui la polizia deve dare la caccia, diviene detective a propria volta e cerca, a suo modo, di far trionfare la giustizia. Una giustizia, quella di Vittorio, che corre in aiuto del più debole e ne riconosce il disagio, creando un contrappeso tra un'etica sociale apprezzabile e un lato violento e distruttore, metafora della schizofrenia moderna, sempre sospesa tra pulsioni animalesche e il controllo sociale cui siamo sottoposti.