Ettore Frangipane (Frangi) ha disegnato per ottant'anni. E anche più. Dopo i lontanissimi esordi, la cui eco si è limitata all'ambito familiare, la sua attività si è allargata, inondando infaticabilmente redazioni ed editori. Quante le sue vignette negli anni? Sicuramente migliaia. Forse decine di migliaia. Ma lui non se n'è mai detto soddisfatto. Sostiene che gli è mancato l'acuto, lamenta di non aver saputo raggiungere l'eccellenza di un Jacovitti, il disegnatore che in assoluto predilige. Ma si stupisce anche del fatto che tanti disegnatori di dubbie capacità siano riusciti e riescano tuttora a piazzare i loro disegni su testate prestigiose. Insufficienza colpevole, la sua, di tratto o contenuti? Forse Frangi è stato danneggiato dalla perifericità di Bolzano. Forse dalla sua incostanza nel produrre. Sta di fatto che adesso ha deciso di abbandonare le vignette, per dedicarsi ad altro. È nato così, come un ultimo suo saluto a chi lo ha seguito nei decenni, questa raccolta che nel titolo ricorda altri due volumi precedenti, pubblicati da un altro editore ("Catinaccio", di Waldimaro Fiorentino, Bolzano): "Sorrydendo con Frangi" (2002 e 2005). Non c'è due senza tre, ed ecco così uscire ora "Sorrydendo con Frangi (3)". È un lungo sorriso che prende l'avvio dal primo disegno di Frangi ispirato ad un uomo che starnutisce, tracciato quando aveva appena quattro anni. Un'immagine ironica e anticonvenzionale, che già nel 1939 faceva presagire le sue doti ispirative, imbevute di ironia. Poi una lunga sequela di disegni, che illustrano la sua evoluzione stilistica: da figure un po' rigide, un po' legnose, all'accentuarsi del movimento. Da testi un po' ovvii, a battute più articolate. Dall'essenzialità del bianco-nero (dovuta alle scarse risorse tecniche del passato), alla completezza del colore. Nelle pagine di questo volume c'è tutta la parabola ascendente di Frangi. C'è una vita vissuta all'insegno del sorriso. Ma anche la malinconia di un addio.