Il mondo va guardato da vicino, la vicinanza riporta le cose al giusto posto. Nel guardare però dobbiamo anche fare un passo indietro, non essere noi al centro bensì "l'altro" quello o quelli che guardiamo e che diventano così protagonisti del loro essere nel mondo. Un distanziamento che può essere nello spazio ma anche nel tempo. Fotografando ho visto che spesso chi è fragile (essere vivente o oggetto) tende a sparire perché gli altri non lo notano o perché lui stesso preferisce non farsi vedere, quasi minimizzato in un mondo che lo ingloba e lo fa sparire ai nostri occhi. Nella quotidianità la difficoltà sta nel fatto che il sistema ti spinge a essere distratto, a guardare a fianco, sopra o sotto, mai dove è il vero soggetto. Inquadrarlo come centro della fotografia, cioè come parte centrale di un luogo in cui per convenzione quello che non è ritratto non ha valore, lo fa emergere e lo situa nella sua storia, lo fa "ri-esistere". Come ci ricordava il teologo Jürgen Moltmann: "Al posto della guerra degli uomini con la natura devono subentrare la riconciliazione degli uomini con la natura e la riconciliazione della natura con gli uomini...". La resistenza di ciò che è fragile sta nella sua forza, ma anche nella nostra capacità di guardare.