Matera è un racconto vecchio di uomini su uomini a guadagnarsi un trancio di tempo, da smezzarselo fino a che serve. È spinta di mani, gomiti, schiena e volontà a cavare il buono dall'unica ipotesi di riparo: la pietra. È un calcolo minuto consegnato dall'uomo alla terra e a questa pietra, perché rispondano precise alla sua istanza. È sudore di picconi, scalpelli, malta, architettura difficile a lungo termine. Matera è talento straordinario di esistenza, risultanza di un accordo tra creato e creato, stipulato prima di buona parte dell'età umana. Non è luogo di sopravvivenza, di precariato umano. A questo scopo sarebbe durata poco; un solo spasmo sulla schiena dei sassi e tutto sarebbe venuto giù. È luogo di presenza pensata perché duri, perché non tenga a memoria giorni e millenni, perché non smetta. È destinazione, non passaggio. In un passaggio si picchetta, si lega, si pianta il giusto, si alleva per una stagione. Alla sera si studia il prossimo tragitto, si prega appena perché restino il fiato e le gambe. Si guarda poco perché non sia aspra la ripartenza, perché non manchi. Matera è sud. Terra di raccolti e arsura che sgocciola da chi è curvo a chiedere un'annata migliore di quella passata. Campo di lotte antiche a rivendicare un prosieguo, insurrezione contro lo spergiuro di chi ha sempre promesso una terra mai data.