"Si parla sempre troppo. Si usano troppe parole per non dire niente. La matita e la Leica sono silenziose", disse Henri Cartier-Bresson nel 1994 a Pierre Assouline. "Per durare - sosteneva Bachelard - bisogna affidarsi a dei ritmi, ovvero a dei sistemi di attimi". E il tempo non è stato in fondo altro - da Platone in avanti - che l'eternità in diuturno naufragio e movimento. Lo sapeva e se ne ricordava bene Carlos Fuentes - il grande romanziere della "Morte di Artemio Cruz" -, che su HCB scriverà un pezzo in assoluto fra i più lancinanti e belli: dialettica giunzione fra "il movimento dell'attimo e l'immobilità dell'eterno", anche il linguaggio fotografico - come lo spaventoso castello della "Recherche" - è forse un "sistema di attimi" partorito in veglia torpida, a partire dal sonno, dentro la sostanza abbacinante e onirica del mondo: "...il fotografo è l'ostetrico di questi sonni che uniscono, che costituiscono, che vivono, che creano un mondo possibile e solo migliore perché portano la speranza a partire dal sonno, perché immaginano il mondo grazie al momento interno, sognato. Un mondo migliore, un mondo possibile solo perché lo sguardo dell'altro ha rispettato l'intimità profonda, spogliata, in cui il sonno è una forma della nudità e la nudità una forma del sonno". In questo libro, curato da Diego Varini, sono raccolte alcune brevi conversazioni col grande fotografo.