Grazie al caso, manovratore nascosto di destini umani, in un'asta di Stoccolma riemerge dal nulla un quadro dimenticato di quasi un secolo fa, il ritratto di due cugine adolescenti firmato dal danese Anton Dich. «Dimenticato» è forse troppo, visto che il suo autore non è ricordato in alcuna storia dell'arte, ma chi potrebbe incuriosire Fredrik Sjöberg più di un eccentrico ai margini dell'eccentricità bohémienne? Anton, patrigno di una delle due ragazze ritratte, ha lasciato scarse tracce di sé. Si aggira poco più che ombra tra i caffè di Montparnasse negli anni dell'avanguardia del primo Novecento, quando Parigi pullula di artisti di tutta Europa in cerca della loro strada. Pittore di talento, sembra sempre nel posto giusto al momento giusto, eppure lui la strada per il successo non la troverà mai, e morirà solo e alcolizzato a Bordighera nel 1935. Che cosa l'ha spinto alla deriva? Per scoprirlo, Sjöberg incontra le nipoti svedesi di Anton, scava nella famiglia matriarcale della moglie Eva Adler, ricostruisce complessi alberi genealogici e intreccia storie di carriere ben più luminose: Modigliani, Picasso, Derain, Brecht, Cendrars. Indulgendo alle divagazioni autobiografiche, botaniche, perfino filateliche, lascia spesso la strada maestra per produrre nei détours inaspettate esplosioni di senso, cui la sua consueta ironia elegantemente sottrae enfasi. E in fondo a questo viaggio tra Gòteborg, Copenaghen, Parigi, la Costa Azzurra, la riviera ligure, addirittura Leopoli, resterà la sensazione di aver letto non tanto la biografia di un uomo quanto quella di un'epoca, una storia di sogni e nevrosi del XX secolo, ma anche dell'eterna ricerca di qualcosa che somigli all'immortalità.