Parlare di autorialità nel design oggi sembra una resistenza nostalgica e anticontemporanea. Gli ultimi dieci anni di storia italiana si sono in qualche modo caratterizzati, nel design, per un annullamento della primarietà della firma, per un superamento del segno, quasi per un'estetica rimossa. Il design si è comportato come se avesse dovuto metabolizzare un senso di colpa per l'eccesso; gli oggetti in parallelo hanno reagito introversamente, ripiegando sull'ostentazione dei processi, sottraendosi nell'esito, come se la loro presenza, il loro cosa e chi, fosse meno importante del loro come e perché. Pensare oggetti che esistono e che hanno occhi, orecchie, voci che non sono mai quelli di chi li possiede e non sono solo quelli di chi li ha disegnati e prodotti. Produrre oggetti che hanno una vita a sé, che supera il tempo istantaneo del consumo, quello sedimentato dell'archetipo, e quello singhiozzante della moda, per imprimersi con una persistenza retinica altissima, come animata. Pensare e produrre, di questi tempi, sono doveri che non possono prescindere dall'accordamento di un diritto, sono gesti più maturatamente coraggiosi che incoscientemente folli. Con diritto e con coraggio, quindi, Marta Sansoni parla di totem: undici designer diversi per biografia, età e linguaggio ricercano sul tema dell'espressione, e il loro ceramista, Alessio Sarri, racconta l'emozione di quando ha aperto gli occhi fisici e metaforici di queste sculture per la prima volta. Opere di: Giampaolo Babetto, Sergio Maria Calatroni, Nathalie Du Pasquier, Anna Gili, Johanna Grawunder, Massimo Mariani, Alessandro Mendini, Andrea Ponsi, Franco Raggi, Marta Sansoni, George Sowden.