Nei momenti di crisi, come quello che stiamo attraversando, è necessario porsi le domande cruciali del convivere civile, imporci di tornare ai fondamentali. Quando la tenuta stessa della società civile sembra essere messa in discussione conviene fermarsi e domandarci quale sia il collante che ci tiene uniti, quale il criterio che sopra ogni altro può farci restare umani. Luciano Violante, magistrato e uomo politico che ha dedicato molti anni al rapporto complesso tra politica, legge e società, identifica nella morte il tema più profondo - e il più rimosso - che induce l'umanità al necessario compromesso della convivenza. In queste pagine non si guarda alla morte come si guarda a un problema filosofico astratto, ma si identifica nel nostro rapporto con la morte - e, per simmetria evidente, con la vita - quel punto di svolta che rende umano il nostro agire, nel modo più intimo, universale e necessario. Se la vita ha un senso, il nostro rapporto con la morte ne è la spia. Dai pensieri che ci provengono dalla tradizione classica e da quelli che leggiamo nella Bibbia, si traggono insegnamenti importanti, «religiosi» anche se non necessariamente confessionali. Il mondo contemporaneo sembra invece avere interrotto, tecnologizzato e nascosto il tema dell'inevitabile conclusione della nostra vita, finendo per sminuirne la «sacralità». E così oggi si muore in guerra, si muore migrando, si muore perché non si può o non si vuole più vivere; ma l'indifferenza crescente verso la morte ha reso più fragile il nostro rapporto con la vita, unico bene che dovrebbe costantemente informare il nostro agire.