Parlando di "atto estetico", l'autrice ha voluto lottare contro la confusione, davvero pregiudizievole, che tende a stabilirsi tra la sensibilità e la passività; e ha voluto mettere in risalto l'esistenza di un "lavoro estetico" che dipende da un progetto, si attribuisce mezzi determinati e produce una serie di effetti. Giacché il problema non è tanto quello di accrescere la nostra ricettività (in fondo l'estensione quantitativa della nostra cultura è poco importante!) quanto quello di "immischiarci" nelle opere della natura e dell'arte, per acquisire dalla loro contiguità organi inediti. A questo fine, dobbiamo mettere in azione gli strati più profondi del nostro essere, dobbiamo esporre la nostra alterità interna all'alterità esterna e dobbiamo prendere coscienza delle reazioni che se ne generano. Solo allora potremo risvegliare e coltivare la nostra facultas. S'aggiunga che la teoria dell'atto estetico conduce logicamente a quella teoria del potere estetico cui nel frattempo si è dedicata per tentare di comprendere l'intersecarsi tra i problemi dell'estetica e i problemi dell'etica e della politica (si veda B. Saint Girons, Le pouvoir esthétique, Manucius, Paris 2009). A quel punto, si è verificato un capovolgimento: invece di mostrare come i diversi tipi di atto estetico ricalchino gli atti artistici e come garantiscano loro quella risonanza necessaria a dispiegarne la portata, si tratta di scoprire la diversità degli strumenti costruiti in un intenso viluppo con la vita.